Che vuol dire essere indipendente?
Pro e contro di un ruolo che assume una crescente importanza anche nel nostro Paese. Intervista ad Elisabetta Magistretti, componente del collegio dei saggi di Nedcommunity
Elisabetta MagistrettiUn’esperienza di pluriennale in cda di aziende varie, dalle “multinazionali tascabili” alle imprese globali. Elisabetta Magistretti, componente del collegio dei saggi di Nedcommunity, ha visto con i propri occhi come l’importanza della figura del consigliere indipendente sia cresciuta esponenzialmente e come tale ruolo sia sempre più centrale per una governance che possa dirsi veramente “sostenibile”.
A quando risale il primo ingresso di un indipendente in un cda di un’azienda italiana?
“Non posso dare una data precisa ma sono in grado di affermare che nell’ambito delle aziende di cui ho avuto esperienza bisogna andare indietro fino ai primi anni Duemila. Prima di allora il concetto di indipendenza era prevalentemente legato e riferito a chi faceva parte del collegio sindacale. Soltanto in seguito è stato esteso anche ai consiglieri riferendosi con questo termine a colui il quale fa da interfaccia al collega esecutivo: il primo si caratterizza per la sua capacità di fare challenge al secondo cui invece fa capo la gestione operativa. Una differenza molto netta come è facile comprendere”.
A quando risale il suo primo ingresso come indipendente e come venne accolta?
“Ricordo bene l’anno: era il 2011 e arrivai nella veste di consigliere indipendente alla Gefran, specializzata nella progettazione e produzione di sistemi e componenti per l’automazione ed il controllo dei processi industriali con impianti in diversi Paesi. Venni accolta molto bene anche perché era stata la società a cercarmi in virtù della consapevolezza della crescente importanza di avere consiglieri indipendenti nel proprio board”.
In che cosa consiste in primo luogo questa importanza?
“Nella sua indipendenza di giudizio come ho detto prima: a mio avviso è centrale che l’indipendente si ricordi sempre di essere stato nominato senza vincolo di mandato nei confronti di chi lo ha candidato ed eletto, come del resto è bene enunciato nel primo dei principi guida stilati due anni fa dal collegio dei saggi di Nedcommunity”.
Che caratteristiche dovrebbe avere oggi che ieri non erano necessarie?
“In linea di principio mi sembra che le esigenze di fit and proper (competenza e onorabilità) cogenti per le banche, dovrebbero valere per tutte le società. Ma questo spesso non è sufficiente. Vista la complessità sempre crescente sia del business sia della governance, l’indipendente deve avere chiaro come la propria professionalità, per esprimersi al meglio, sia chiamata ad interagire con quella degli altri consiglieri. Quando si forma un board è necessario essere sicuri che siano coperte in modo ragionevole tutte le caselle professionali necessarie alle esigenze espresse dal business: dobbiamo immaginarci il consiglio di amministrazione come un team sportivo chiamato a giocare in modo affiatato, come un’orchestra in cui ogni musicista ha un ruolo ben definito, unico e per questo indispensabile, ma efficace soltanto se considerato all’interno di un gruppo ben equilibrato”.
Ci sono secondo lei miglioramenti possibili sulla figura degli indipendenti. Se sì quali?
“Certamente. Anche la figura del consigliere indipendente è chiamata ad evolvere: innanzitutto sono chiamati a una grande responsabilità: essere capaci di complementare la propria cultura di base con gli aspetti che derivano dai nuovi investimenti, soprattutto in chiave Esg, e in particolare dai rischi emergenti che oggi le società sono chiamate a gestire. Il mondo cambia e anche i consiglieri, soprattutto indipendenti, sono chiamati a farlo. Per questo motivo consiglio di realizzare degli intelligenti programmi di induction nei confronti di tutti gli amministratori: perché spesso le figure di cui abbiamo bisogno sono già presenti”.