Il rischio climatico: Oggi è un cigno nero?
Il climate change oggi appare un evento molto meno che improbabile visto che si sta verificando sotto gli occhi tutti: un motivo in più perché board e aziende lo tengano ben presente come uno dei pericoli principali che un’impresa deve tenere in considerazione
Getty ImagesIl concetto di eventi “cigno nero” è stato sviluppato da Nassim Nicholas Taleb, nel suo libro del 2007 dall’omonimo titolo. Tali eventi condividono tre caratteristiche fondamentali: sono inaspettati e rari, quindi al di fuori delle previsioni; i loro impatti sono ad ampio raggio o estremi; possono essere pienamente compresi solo a posteriori. La Bank for International Settlement ispirandosi a quel concetto e ha coniato il termine “cigno verde” riferendosi a eventi climatici che condividono le stesse caratteristiche fondamentali di imprevedibilità con impatti di vasta portata.
Alto grado di certezza
In effetti, sia i rischi di transizione sia quelli legati al rischio climatico fisico, dimostrano le caratteristiche degli eventi “cigno nero”. Tuttavia, il rischio climatico differisce da un evento “cigno nero” per alcuni aspetti cruciali. Innanzi tutto, sebbene gli impatti dei cambiamenti climatici siano altamente incerti, “c’è un alto grado di certezza che una qualche combinazione di rischi fisici e di transizione si concretizzerà in futuro”, come scrive il Network for Greening the Financial System nel suo primo rapporto completo, A Call for Action – Il cambiamento climatico come fonte di rischio finanziario, 2019.
Inoltre, le catastrofi climatiche potrebbero presentare conseguenze ancora più disastrose della maggior parte delle crisi finanziarie sistemiche e potrebbero essere di tale complessità da influenzare l’umanità su livelli molteplici (non solo finanziari o economici), tanto più che molti degli impatti dei cambiamenti climatici sono irreversibili.
La teoria della gestione del rischio ci dice che non si dovrebbe cercare di anticipare eventi a bassa probabilità e ad alto impatto, ma ci si dovrebbe concentrare sulla riduzione della propria vulnerabilità ad essi.
Il decennio dal 2020 al 2030 è fondamentale poiché il percorso verso “net zero” sarà sostanzialmente determinato entro il 2030. L’IPCC nel suo recente rapporto fa una dichiarazione molto preoccupante: i gas serra devono raggiungere il picco entro il 2025 e scendere del 45% entro il 2030 se vogliamo avere una possibilità di raggiungere il “net zero”. Il cambiamento climatico può essere un rischio a lungo termine, ma il modo in cui si concretizzerà dipende da ciò che facciamo in questo decennio critico.
Serve un’azione corale
Non c’è parte della società che possa essere immune dall’azione. Sebbene vi sia un enorme onere per i governi e i responsabili politici nel dare linee guida, si richiede un’azione sostanziale da parte del settore privato. Le aziende e i loro consigli di amministrazione hanno il dovere di gestire e mitigare questo rischio, che lo chiamiamo cigno nero o verde.
È buona governance includere il clima come rischio primario nel registro dei rischi di tutte le aziende; è una buona governance lavorare su strategie e azioni per mitigare tale rischio. Gli eventi del cambiamento climatico (che si tratti di cicloni, incendi, siccita’ o inondazioni, innalzamento del livello del mare) interessano tutti i settori e le attività economiche in varia misura ed intensità, ma non esiste immunità.
Man mano che le attività economiche vengono riallocate, nello sforzo di transizione verso “net zero”, alcune attività scompariranno, altre emergeranno e il valore delle “attività non recuperabili” crollerà. I disastri meteorologici si rifletteranno nella copertura assicurativa e nei suoi costi e avranno un impatto sempre maggiore sulla disponibilità e sul costo dei finanziamenti per tutte le aziende. Si tratta di impatti tangibili che influenzeranno la redditività aziendale, di tutte le aziende.
Tali considerazioni, a loro volta, si rifletteranno nei requisiti patrimoniali delle istituzioni finanziarie, con una circolarità che spingerà le istituzioni finanziarie stesse ad agire. Già gli stress test climatici condotti da un numero crescente di regolatori del settore finanziario costringeranno le banche a valutare i propri prestiti o investimenti e ad apportare modifiche per ridurre i rischi climatici a cui sono esposte, il che a sua volta avrà un impatto sulle aziende e sui settori a cui forniscono finanziamenti.
Cda chiamati all’analisi strategica
È essenziale che le aziende ed i loro consigli riflettano su come tali scenari possano impattare il loro business e quali sono le scelte strategiche disponibili e quelle che devono essere create, anche decidendo l’approccio strategico ed il livello di ambizione che si vuole esprimere. La difficoltà di modellare tali scenari (e la questione della mancanza di dati) non può essere un motivo per evitare un dibattito strategico così importante; anzi probabilmente maggiore è l’incertezza, maggiore è il rischio che un’azienda deve affrontare e più importante è che il suo consiglio di amministrazione ci si focalizzi.
Molti stakeholders, oltre ai regolatori, richiedono sempre più informazioni sul rischio climatico che le aziende devono affrontare, da un lato, e sull’impatto che esse hanno sul clima, dall’altro. Si stanno adeguando i principi contabili per richiedere tali informazioni e i consigli di amministrazione sono sempre più ritenuti responsabili di tale disclosure. Il tema è vasto e permane un alto grado di incertezza: non c’è abbastanza standardizzazione, non sono disponibili dati validi o sufficienti, modellare gli scenari di rischio è ancora complesso per molte società e molti settori, ma il rischio più grande che le aziende e i loro consigli corrono è l’inerzia. È necessario che i consigli di amministrazione esprimano leadership su questo tema cruciale.