Climate change sempre più al vaglio dei board
La valutazione del proprio modello di business in relazione alla resilienza rispetto ai cambiamenti climatici è diventato un passaggio strategico centrale
Annie Spratt/UnsplashLa grave crisi economica e sociale determinata dalla pandemia ha intensificato l’azione delle istituzioni europee in materia di lotta al cambiamento climatico. La Recovery and Resilience Facility (RFF), su cui si fonda in larga misura Next Generation UE, condiziona l’impiego del 37% delle risorse all’attuazione del Green Deal europeo, e il 100% dei progetti finanziati non dovrà avere effetti ambientali avversi. Non solo: gli obiettivi del Green Deal (lanciato nell’autunno 2019) sono stati incrementati, con l’impegno a ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra di almeno il 55% (rispetto al 1990), per fare dell’Europa il primo continente carbon neutral entro il 2050.
Per raggiungere tali obiettivi sono state pianificate numerose iniziative legislative. Dalla Tassonomia delle attività sostenibili (Regolamento UE 2020/852 e relativi atti delegati, due dei quali, su mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, in fase di approvazione) alle definizioni dei low-carbon benchmark (Climate Transition Benchmarks, EU Paris-aligned Benchmarks); dal rafforzamento delle non binding guidelines on non-financial reporting (C/2019/4490, 20 giugno 2019) – con l’introduzione della c.d. doppia materialità, della business model resilience e della disclosure climatica secondo il modello della Task Force on Climate-related Financial Disclosure – alla prevista revisione della non-financial disclosure Directive (2014/95/UE). E molto altro ancora, fino a interessare i partecipanti ai mercati finanziari, i consulenti finanziari, le imprese che offrono investment advise e portfolio management, chiamati a fornire un’approfondita informativa in tema di sostenibilità, sia dell’organizzazione che dei prodotti. Senza dimenticare la proposta, sviluppata dalla Commissione di concerto con l’European Bank Authority, di introdurre un green supporting factor nelle regole prudenziali per banche e compagnie di assicurazione, volta a introdurre una considerazione dei rischi climatici nelle attività di revisione e valutazione svolte dalle autorità di vigilanza, nonché la discussione in atto sull’introduzione di requisiti patrimoniali ridotti per i finanziamenti di green asset.
Il peso dei mercati e il ruolo del cda
I mercati colgono questi segnali: Deutsche Bank nel luglio 2020 ha stimato che gli asset under management con un mandato ESG valgono a livello mondiale più di 40.000 miliardi USD (50% del totale) e sono destinati a crescere fino a circa 130,000 miliardi USD (95% del totale) nel 2030. È un passaggio storico per le imprese e per il mercato dei capitali e dunque per i consiglieri di amministrazione. Il Codice di Corporate Governance del gennaio 2020 delinea come obiettivo del Consiglio di amministrazione il successo sostenibile della società, che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholders – approccio che quindi sposta l’attenzione della gestione dal breve al lungo termine, ma che tuttavia non è vincolante. Più rilevante è l’obbligo di trasparenza, sopra richiamato, nella dichiarazione non finanziaria che prevede dettagliate informazioni riguardo al clima. Per le società di maggiori dimensioni quest’obbligo di trasparenza si riflette sulla configurazione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili: le società devono informare il mercato dei rischi e delle opportunità legati al cambiamento climatico secondo le richiamate non binding guidelines della Commissione Europea (punto di riferimento imprescindibile per l’adempimento dell’obbligo di diligenza e professionalità nella rappresentazione) e quindi dell’impatto che il cambiamento climatico comporta sull’attività della singola società e, in direzione contraria, dell’impatto che quest’ultima produce sull’ambiente. In particolare, l’informativa riguarda: il modello aziendale di gestione e di organizzazione dell’attività di impresa; le politiche e la due diligence; i risultati di queste politiche; i rischi e la loro gestione.
Queste informazioni incidono sulla configurazione degli assetti della società perché implicano che il CdA: i) valuti il modello di business e la sua resilienza rispetto ai cambiamenti climatici e quindi formuli una strategia che tenga conto di queste valutazioni; ii) curi e valuti che, ai sensi dell’art. 2381 c.c., l’assetto organizzativo amministrativo e contabile sia adeguato tenendo conto anche dei rischi derivanti dal cambiamento climatico. Cioè, la disciplina della trasparenza, se ben compresa, interpretata ed applicata dalle società – e quindi non limitata a una formalistica compliance – ha una portata tale da produrre conseguenze di natura organizzativa e gestoria che incidono sia sulla formulazione della strategia, che sulla corretta valutazione degli attivi, che sulle decisioni propriamente operative ovverosia riguardanti investimenti i cui effetti si producano nel medio-lungo termine.
Sostenibilità centrale per tutti
Detto delle società di maggiori dimensioni, non si può non sottolineare come il cambiamento climatico sia un fenomeno che ormai riguarda l’attività imprenditoriale in senso generale. La scienza del clima ha infatti dimostrato che questo rischio è prevedibile e perciò esso deve essere tenuto in considerazione nell’istituzione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e nella valutazione della loro adeguatezza da parte dei CdA di tutte le società di capitali, a prescindere dalla loro dimensione: dal combinato disposto dei nuovi testi degli artt. 2086, comma 2, e 2475, comma 6, c.c. risulta l’equiparazione tra s.r.l. e s.p.a. con riferimento agli obblighi che discendono dall’art. 2381 c.c. Anche per queste società, il cambiamento climatico può rilevare sia ai fini della corretta rappresentazione contabile che della gestione integrata dei rischi, che nella formulazione del piano industriale della società e delle decisioni di investimento. Gli amministratori devono dunque prendere in considerazione i rischi fisici e di transizione, oltre che quelli legati alla riallocazione dei capitali da parte di investitori e finanziatori, nonché le opportunità legate alla transizione energetica in atto al fine di adempiere all’obbligo di diligenza.