DICIAMO LA NOSTRA a cura della Direzione
Questa rubrica promossa dalla Presidenza intende alimentare un dialogo costruttivo con gli Associati che desiderano dare il loro contributo di idee, suggerimenti e critiche per la crescita della Comunità.
In questo numero ospitiamo l’intervista a Elisabetta Magistretti (*) che ringraziamo per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
Questa è la tredicesima intervista che pubblichiamo nella presente rubrica dedicata al dialogo con gli Associati:
la prima è stata fatta a Gianmaria Gros Pietro nel numero di luglio 2010 (N° 4);
la seconda a Giovanni Maria Garegnani nel numero di ottobre 2010 (N° 5);
la terza a Carolyn Dittmeier nel numero di gennaio 2011 (N°6);
la quarta a Mario Noera nel numero di aprile 2011 (N°7);
la quinta a Maria Luisa Di Battista nel numero di luglio 2011 (N° 8);
la sesta a Ferruccio Carminati nel numero di ottobre 2011 (N° 9);
la settima a Salvatore Maccarone nel numero di gennaio 2012 (N° 10);
l’ottava a Giancarlo Pagliarini nel numero di luglio 2012 (N° 12);
la nona a Marco Cecchi de’ Rossi nel numero di ottobre 2012 (N° 13);
la decima ad Alberto Battecca nel numero di gennaio 2013 (N° 14).
l’undicesima a Roberto Cravero nel numero di aprile 2013 (N° 15).
la dodicesima a Marco Rescigno numero di luglio 2013 (N° 16).
L’intervista
Che cosa non va in Italia nella governance?
A me sembra che i problemi che abbiamo in generale nella governance in Italia dipendono o, almeno, sono strettamente correlati con i problemi del paese Italia.
Volendo sintetizzare in una parola è un problema di accountability. Il nostro è un paese dove, purtroppo, tutto viene demandato alle leggi che normalmente hanno una gestazione molto sofferta, dove la cultura del controllo è molto buracratica, dove cadere nel penale è troppo facile, dove l’autoregolamentazione, portata avanti con intelligenza e buon senso, è poco sviluppata e dove il concetto di comply or explain è una novità.
Penso a qualche esempio. La quantità dei meccanismi di controllo che si sovrappongono nelle società, (comitati endoconsigliari, collegio sindacale, organismo di vigilanza) con divisione di compiti piuttosto aleatorie e spesso incertezze sui sistemi di comunicazione e condivisione, la assoluta assenza del sistema monistico, probabilmente a causa di problemi interpretativi delle norme di legge che l’hanno istituito, una visione piuttosto comune del sistema duale che sembra più una distribuzione di potere che non un sistema di governo e, non ultimo, il fatto che per avere una spinta alla partecipazione di genere nei consigli, sia stato necessario approvare una legge quando, forse, senza disturbare il parlamento sarebbe stato sufficiente un bel comply or explain di tipo autoregolatorio.
Quali rimedi per migliorare la qualità
Un aspetto che ritengo necessario è, approfittando del decennale della riforma Vietti, rivedere serenamente le norme e cercare di modificare quei punti che rendono la vita difficile. Si potrebbe pensare ad un gruppo di esperti giuristi che, aprendo le porte a chi ha qualcosa di ragionevole da suggerire, possano fare proposte sensate.
Pensando al codice di autodisciplina, una delle cose su cui i Boards dovrebbero allenarsi nel prossimo futuro è cercare di capire quale potrebbe esserne la composizione ottimale in funzione delle caratteristiche della società, del mercato, dell’environment di controllo. Non è certo un compito facile perchè il rischio di essere autoreferenziali è forte ma è certamente un grande esercizio di responsabilità. Esercizio che comporta una esigenza di conoscenza della realtà aziendale che va a vantaggio anche dell ‘attività tipica di consigliere e quindi dell’accountability.
Non ultimo, tutti coloro che siedono nei boards o nei collegi sindacali vedano questo compito come un impegno costruttivo, abbiano voglia di dialogare con i colleghi e con i componenti esecutivi e si riesca a far sentire la propria presenza al management, ognuno apportando le proprie competenze. Io sono ragionevolmente convinta che questo è un percorso già iniziato e su cui è bene investire, anche perché permette uno scambio d’informazioni necessario oltre che interessante.
Cosa si aspetta da Nedcommunity e cosa suggerirebbe
Mi sembra che Nedcommunity, in quanto rappresenta i consiglieri non esecutivi, sia il punto focale dove si possono discutere queste problematiche. Innanzitutto rivisitare il ruolo di non esecutivo, ridiscutere i concetti di indipendenza ( da chi e da cosa ) e poi, come peraltro mi sembra sia stato fatto nel recente passato con successo, porsi come punto d’incontro su novità di rilievo per gli aderenti o i potenziali aderenti. Non ultimo continuare a proporre letture, momenti di incontro, corsi di induction per mantenere viva l’attenzione e generare scambio di conoscenze su quelle che, nel tempo, verranno identificate come best practices.
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