La proxy season americana del 2013: riflessioni su governance e dintorni
Spunti di riflessione
Come ogni anno, osservare i risultati della stagione assembleare statunitense nel 2013 offre interessanti spunti di riflessione sul funzionamento dei meccanismi di governo societario di questo importante Paese. Pur in presenza di significative e profonde differenze tra il sistema societario americano e quelli europei, e italiano in particolare, i dati sullo svolgimento delle assemblee indicano temi e questioni di corporate governancerilevanti anche su questo lato dell’Atlantico, consentendo in particolare di riflettere sul rapporto tra amministratori e soci, e sul ruolo degli amministratori indipendenti. Queste brevi note danno sinteticamente conto delle principali linee evolutive che possono desumersi dall’andamento delle assemblee delle società quotate statunitensi.
La raccolta delle deleghe
In particolare occorre concentrarsi sui risultati delle operazioni di sollecitazione e raccolta di deleghe di voto (proxy), e specificamente sulle proposte promosse dagli azionisti e sulle posizioni assunte dai cosiddetti proxy advisors. Si deve subito ricordare che, in via generale, le proposte degli azionisti non prevedono un voto vincolante dei soci: in altre parole, anche in caso di approvazione della proposta (ad esempio di modifica delle regole per la nomina degli amministratori), la società non adotta automaticamente la nuova regola sostenuta dagli azionisti. Gli amministratori hanno la facoltà, ma non l’obbligo, di seguire il “suggerimento” degli azionisti (cosiddette “precatory resolutions”). Ovviamente, ignorando le preferenze dei soci, gli amministratori si espongono al rischio di non essere rieletti l’esercizio successivo. È interessante ricordare, a questo proposito, che uno dei più importanti proxy advisors, ISS, ha annunciato nelle proprie politiche per il 2014 che raccomanderà agli investitori di votare contro gli amministratori nel caso in cui il consiglio non abbia recepito una proposta proveniente dagli azionisti che abbia ricevuto la maggioranza dei voti espressi in assemblea. Insomma, sebbene seguire le indicazioni degli azionisti è in teoria facoltativo, la pressione sugli amministratori per rispettare la volontà assembleare è significativa.
Le proposte degli azionisti
Ma su quali società e quali tematiche si sono concentrate le proposte degli azionisti nella stagione appena conclusa? Innanzitutto, come sempre, oggetto principale delle sollecitazioni dei soci sono le società a maggiore capitalizzazione (quelle che compongono lo S&P 500), mentre relativamente poche sono le proposte che riguardano le società a media o bassa capitalizzazione. Quanto ai temi oggetto di proposta, secondo una recente indagine dello studio legale Sullivan & Cromwell (disponibile a http://www.sullcrom.com/2013-Proxy-Season-Review/, visitato a settembre 2013), la maggior parte degli argomenti riguarda la corporate governance, con 142 proposte, seguita da questioni sociali o politiche (128 proposte, su temi ambientali o relativi ai finanziamenti politici da parte delle società), e infine dalla materia dei compensi ad amministratori e manager (78 proposte). Circa un terzo delle proposte in tema di governance è stato approvato dagli azionisti, solo due su temi sociali o politici hanno ricevuto una maggioranza, e nessuna proposta in materia di compensation è stata approvata.
Entriamo maggiormente nel dettaglio di queste proposte, cominciando da quelle relative al governo societario. Un discreto numero di proposte ha riguardato aspetti centrali: l’eliminazione di un classified board; l’adozione del voto a maggioranza per la nomina degli amministratori; l’eliminazione di clausole di maggioranza rafforzata per l’approvazione assembleare di certe operazioni; la separazione della posizione di presidente del c.d.a. da quella di amministratore delegato; il diritto degli azionisti detentori di una minoranza qualificata di convocare l’assemblea; la possibilità per gli azionisti di assumere decisioni per iscritto, senza necessità di convocare l’assemblea; e infine la possibilità per gli azionisti di minoranza di aggiungere nomi di propri candidati al consiglio nelle liste presentate dalla società.
Non è qui possibile soffermarsi analiticamente su ciascuna di queste tipologie di proposte, ma è utile fornire qualche informazione almeno su alcune di esse a favore dei lettori meno addentro al diritto societario americano. In generale, esse chiaramente indicano una grande attenzione degli azionisti, e in particolare degli investitori istituzionali, ad aspetti di governance oggetto di un intenso dibattito pratico e scientifico anche in Italia.
Le misure più significative
Per quanto riguarda i classified boards, si tratta di una tipica misura antiscalata, o comunque finalizzata a limitare l’impatto dei soci sulla composizione dell’organo amministrativo. La regola prevede che i soci possano eleggere annulamente solo un terzo (o comunque una frazione) del consiglio, prevedendo limiti alla possibilità di revocare gli amministratori non in scadenza. La conseguenza, semplificando, è che un eventuale scalatore che acquisisse la maggioranza dei voti dovrebbe comunque aspettare almeno due elezioni (nel caso di c.d.a. diviso in tre frazioni) per nominare la maggioranza dei consiglieri. La misura, disincentivando le scalate, è spesso mal tollerata dagli investitori istituzionali, che infatti si attivano per farla abolire.
Anche l’adozione del voto a maggioranza per l’elezione del consiglio merita una breve spiegazione. La regola spesso seguita negli Stati Uniti è che per nominare un amministratore è sufficiente una maggioranza relativa dei voti. Se, ad esempio, un candidato riceve anche solo il 10% dei voti espressi, ma nessun altro riceve più di tale soglia, il soggetto entra nel consiglio. Ciò consente spesso agli amministratori di “perpetuare” se stessi anche con solo un piccolo manipolo di voti. Gli investitori chiedono frequentemente di sostituire questa regola con la previsione che i candidati vincenti debbano ricevere una maggioranza assoluta dei voti espressi, per assicurare che essi siano maggiormente “rappresentativi”.
Importante è infine richiamare l’attenzione sulla proposta di consentire ai soci di minoranza qualificata di indicare, nelle liste inviate a spese della società per l’elezione degli amministratori, anche dei propri candidati. Questa regola – pur con le ovvie e profonde differenze – ricorda, almeno nei propri effetti concreti, le norme sull’elezione di amministratori di minoranza in Italia. Consentendo ai soci di aggiungere nominativi di candidati ad essi graditi, si aumenta la possibilità che questi soggetti ricevano la soglia di voti minima per entrare nel consiglio. Ebbene, nel 2013 sono state avanzate 9 proposte in questo senso, di cui due sono state approvate.
Un secondo gruppo di shareholders proposals riguarda, come sopra anticipato, temi sociali o politici. Sebbene meno direttamente rilevanti nella prospettiva del governo societario, queste proposte sono intriganti perché indicano come le grandi società quotate americane siano importanti attori sociali, e come esse offrano ad azionisti e gruppi di pressione, talvolta molto seri, altre volte più pittoreschi, un palcoscenico per richiamare l’attenzione su questioni socio-politiche anche molto delicate, e incidere direttamente sul comportamento delle imprese. Nella stagione 2013, ad esempio, oltre 70 proposte hanno riguardato temi politici, spesso in relazione alla possibilità delle società di utilizzare risorse per promuovere determinate posizioni politiche, possibilità che la Suprema Corte ha ampliato nel 2010 con la famosa decisione Citizen United. Altre proposte riguardano temi eterogenei, dalla discriminazione sul posto di lavoro, ai diritti degli animali.
Infine, proposte sono giunte in tema di remunerazioni dei manager, soprattutto sulle regole per la detenzione di azioni della società e per la riduzione dei cosiddetti paracaduti d’oro, ma hanno ricevuto limitato sostegno dagli azionisti.
Il 2013 è stato il terzo anno nel quale, sulla base del Dodd-Frank Act del 2010, gli azionisti americani sono stati chiamati a esprimere un voto sui sistemi di remunerazione adottati dall’emittente (il cosiddetto “say-on-pay”). In generale, le società hanno ottenuto migliori risultati – ossia voti positivi sui pacchetti remunerativi proposti – rispetto al 2012, circostanza che suggerisce una maggiore attenzione degli emittenti ai desiderata degli investitori su questo tema. È interessante notare che nel caso di raccomandazione di voto positiva da parte di ISS, il sistema presentato dal management ha ricevuto un OK nel 95% dei casi; mentre in caso di raccomandazione negativa di ISS, solo nel 68% dei casi, confermando l’importanza delle raccomandazioni di voto dei proxy advisors nel sistema americano.
Considerazioni finali
In conclusione, questa rapida rassegna della stagione assembleare – proxy season 2013 –consente di individuare numerosi temi al centro del dibattito sulla governance e di rilievo per gli investitori, ma anche di registrare un buon livello di attivismo da parte, in particolare, degli investitori istituzionali, e una crescente sensibilità di amministratori e managers alle indicazioni degli azionisti.
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