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Strategic Risk Governance e Sostenibilità: i vertici aziendali a confronto sulle dichiarazioni non finanziarie. Questo il tema del convegno organizzato da UBi Banca, KPMG e Nedcommunity che si è svolto il 3 Ottobre 2018 a Milano e che è stato occasione
Strategic Risk Governance e Sostenibilità: i vertici aziendali a confronto sulle dichiarazioni non finanziarie.
Questo il tema del convegno organizzato da UBi Banca, KPMG e Nedcommunity che si è svolto il 3 Ottobre 2018 a Milano e che è stato occasione di presentazione dei risultati della survey condotta da KPMG e Nedcommunity sulle prime Dichiarazioni Non Finanziarie presentate dalle aziende in applicazione del D.lgs. 254.
Letizia Moratti, Presidente del Consiglio di Gestione di Ubi Banca, ha aperto i lavori sottolineando l’importanza di una visione della sostenibilità più allargata per poter raggiungere gli obiettivi di sostenibilità globale. Dalla necessaria sostenibilità del continente africano, che si avvia ad avere la popolazione più giovane al mondo con le peculiarità del suo sviluppo, alla considerazione che la sostenibilità sociale è un tema di grande rilievo tenendo conto del crescente invecchiamento della popolazione e delle disabilità connesse all’aumento della vita media, che mettono sotto una grande pressione i sistemi di welfare. Se ciascuno deve fare la sua parte in tema di sostenibilità, la finanza può dare certamente il proprio contributo attraverso strumenti innovativi di finanza sociale ed UBI è stata la prima banca ad emettere social bond.
L’introduzione dei lavori di Paola Schwizer, Presidente Nedcommunity, ha delineato invece come la normativa stia contribuendo a sviluppare una cultura della sostenibilità che aiuterà le aziende nella loro relazione con gli investitori e gli stakeholders, generando l’afflusso di maggiori capitali e una migliore reputation. ‘Le regole generano cultura’ e la DNF ha contribuito a portare nei board la riflessione sulle strategie a lungo termine. C’è ancora da lavorare, su vari ambiti quali l’integrazione dei rischi emergenti nei propri modelli di risk management e l’ascolto degli stakeholders ma l’obiettivo di far emergere il valore anche economico degli ESG è ben presente.
Ma gli investitori, oggi, quanto percepiscono e quanto prendono in considerazione investimenti socialmente responsabili? La risposta arriva da Fabio Galli di Assogestioni, che, dati alla mano, ha mostrato come negli ultimi 5 anni si è registrata un’esplosione delle masse gestite di investimenti socialmente responsabili. La spiegazione di questa crescita esponenziale è legata, secondo Galli, a due fattori: un’industria che sta anticipando il bisogno crescenti delle generazioni più giovani e di quelle future di investire in maniera sostenibile e la crescita di una sensibilità da parte della clientela attuale verso investimenti socialmente responsabili. Gli investitori istituzionali internazioni hanno dato una spinta a livello globale, a partire dal 2000, agli investimenti socialmente responsabili ma nel nostro Paese, che registra ancora una presenza modesta di investitori istituzionali, l’aumento di questo tipo di investimenti è legato ad una crescente sensibilità delle famiglie ai temi della sostenibilità.
I cambiamenti normativi a livello europeo, come l’ EC action plan on Financing Sustainable Growth (marzo 2018) spingeranno inoltre le società di gestione a tenere in debito conto una serie di fattori prima trascurati, come la promozione di investimenti sostenibili e la valutazione dei rischi ESG che porteranno stabilità al sistema finanziario grazie alla possibilità di avere un quadro più completo dei rischi che l’azienda nella quale si investe deve affrontare.
L’Europa chiede dunque di lavorare su una mappatura delle attività economiche sostenibili; sulla trasparenza relativamente alle modalità di integrazione dei criteri ESG nella valutazione del rischio e nelle politiche di investimento; sulla costruzione e misurazione dei prodotti di investimento sostenibili; sulla discussione delle preferenze sulla sostenibilità nel dialogo con il cliente.
La vera sfida per gli investitori, secondo Galli, sarà tuttavia legata alla comprensione di cosa include la parola social: capire cosa sia la responsabilità sociale di un’azienda e come un investitore deve valutarla è davvero complesso. La dimensione social è dunque una sfida per aziende e investitori in termini di definizione e valutazione.
Tornando al presente, e alla prima emissione di Dichiarazioni Non Finanziarie ex D.lgs. 254, qual è lo stato dell’arte?. Lo hanno raccontato PierMario Barzaghi di KPMG e Carolyn Dittmeier di Nedcommunity, illustrando i risultati della survey condotta da KPMG e Nedcommunity (scarica la presentazione qui).
205 DNF presentate, la maggior parte delle quali riferite a dati consolidati e dunque le aziende coinvolte sono molte di più e comprendono società presenti sia in Italia che all’estero. Delle 205 aziende analizzate, il 59% è al primo anno di rendicontazione non finanziaria; 150 sono aziende quotate, 55 aziende non quotate – delle quali 52 EIP e 3 aziende che hanno redatto la dichiarazione su base volontaria (una università e due aziende in ambito energetico).
Il 70% delle aziende ha presentato la DNF come relazione distinta definendola, nel 45% dei casi, Bilancio di sostenibilità.
Dalle varie considerazioni emerge la necessità che gli aspetti ESG siano integrati all’interno del modello di business aziendale, integrazione che raramente si rileva in questa prima fase sebbene sia da sottolineare che alcune aziende hanno costituito comitati interni per la gestione degli aspetti ESG per trasformare gli attuali obiettivi di compliance in obiettivi strategici. Altro elemento significativamente positivo è l’individuazione, in molti casi, del Comitato Controllo e Rischi come il Comitato incaricato anche della sostenibilità. Per avere una solida rendicontazione relativa alle attività ESG occorre inoltre un monitoraggio e un sistema di controllo interno adeguato almeno quanto quello relativo al bilancio. Altro tema chiave indicato è quello dell’ascolto degli stakeholders, attraverso un processo che è tuttavia difficile attivare in un lasso di tempo breve. I rischi che vengono identificati nelle DNF presentate sono in larga parte quelli già noti- soliti. Quelli che servirà analizzare e definire meglio, sono quelli legati alla supply chain e ai diritti umani. Infine, elemento fondamentale risulta essere la realizzazione di un piano di sostenibilità che deve essere integrato al piano industriale dell’azienda.
Se la DNF è stata una novità 2018 per alcune aziende, lo stesso non può dirsi per altre organizzazioni che da anni redigono il bilancio sociale e raccontano ad investitori e clienti le loro politiche e attività in tema di sostenibilità. Alcune di queste aziende hanno portato la loro testimonianza anche in questa occasione.
Filippo Bettini, chief sustainability & risk Governance del Gruppo Pirelli, ha raccontato la volontà dell’azienda di affiancare alla responsabilità della risk governance quella della sostenibilità per rimarcare il legame della sostenibilità alla strategia di gestione del business dell’azienda. Pirelli è tra le aziende del Global Compact Lead, si affida alle norme ISO sulla social responsibility, lavora sul modello di multistakeholder engagement. ‘Il modello adottato vede la sostenibilità come tool per completare, supportare e proteggere il modello di business aziendale’ e il piano industriale viene accompagnato dal piano di sostenibilità. Il modello dei rischi, fatto con logica industriale, viene intersecato con rischi trasversali i rischi ESG e i rischi reputazionali che consentono all’azienda di avere una lettura completa dei potenziali rischi.
Federica Ruzzi di Moncler racconta della direzione sostenibilità, creata nel 2015 all’interno del comitato controllo e rischi dell’azienda, e dedicata al supporto dell’integrazione degli aspetti sociali e ambientali nelle decisioni di business. Dal 2016 Moncler pubblica il bilancio di sostenibilità; la normativa per loro ha solo aggiunto un fattore-compliance ad una pratica aziendale già consolidata.
Il tema dello sviluppo sostenibile ha tuttavia ‘cappelli’ più ampi, uno dei quali è rappresentato dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite nel 2015 che riporta 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030. Enrico Giovannini, Portavoce dell’ASVIS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile- racconta lo stato dell’arte nella sua applicazione ad oggi, con una sintesi iniziale che chiarisce che né l’Italia né l’Europa possono dirsi già sulla strada di uno sviluppo sostenibile. E non lo sono sia sul piano economico che sociale e ambientale. Nel 2017 il Governo Italiano ha adottato una strategia per lo sviluppo sostenibile ma non c’è ancora traccia di attuazione. ‘L’Italia è indietro ma ci sono molti segnali positivi’, ha affermato Giovannini, perché molte aziende stanno facendo tanti passi avanti sebbene resti ancora molto da fare anche su temi dei quali si parla da tempo, come l’ambiente. Ha concluso affermando che il nodo cruciale resta, tuttavia, la difficile definizione della responsabilità sociale delle organizzazioni.
La tavola rotonda successiva, coordinata da Patrizia Giangualano di Nedcommunity, ha dato voce ancora alle aziende chiamate ad illustrare il ruolo di direzioni, comitati e strutture organizzative a presidio della sostenibilità.
Cristina Bombassei di Brembo ha raccontato della creazione di una direzione CRS di gruppo, per un’azienda presente in 15 Paesi al mondo, con il compito di definire strategie e best practice che vengono sottoposte al Board con cadenza annuale. La struttura CRS lavora a stretto contatto con il Risk Manager e il Comitato Controllo e Rischi per una definizione e valutazione integrata dei rischi ESG all’interno della più generale valutazione dei rischi dell’azienda
Edoardo Garrone di Erg, un’azienda che dal 2018 opera solo nel campo delle energie rinnovabili, ha illustrato la struttura di sostenibilità di Erg che ha istituito un Comitato di sostenibilità e pubblica un bilancio di sostenibilità da circa 10 anni e che continua a redigere con relazione separata. La spinta più forte, secondo Garrone, all’adozione di un bilancio di sostenibilità è rappresentata, più che dalle norme, dall’interesse dei grandi investitori.
Victor Massiah di UBI ha testimoniato l’impegno della banca nell’ambito della sostenibilità con una funzione CSR creata contestualmente alla nascita di UBI e con la redazione, da tempo, di un bilancio di sostenibilità. L’impegno della banca sui temi della sostenibilità, e la costante considerazione della sostenibilità come investimento, li ha portati nel tempo a sviluppare anche strumenti di finanza sociale di grande impatto, come i 90 social bond emessi, spesso focalizzati anche solo su contesti geografici definiti.
Stefano Venier del gruppo HERA ha invece sottolineato l’importanza, soprattutto per un’azienda come Hera che si occupa di servizi pubblici, della pianificazione strategica per poter affrontare gli impatti di alcuni rischi perché solo con una pianificazione strategica si possono risolvere o mitigare gli impatti di fenomeni come il cambiamento climatico. Occorre costruire un insieme di scenari che aiutino a definire quale sia il percorso che proattivamente va messo in atto per limitare e contenere questi rischi, ‘e parlo anche di fenomeni sociali e non solo ambientali’: i cambiamenti climatici e i fenomeni sociali non sono disgiunti e occorre guardare l’enterprise risk management in maniera integrata con la pianificazione strategica. Ha concluso dicendo che l’attrattività di una azienda è legata anche alla reputazione e lavorare sui temi della sostenibilità crea un dialogo almeno con una parte di stakeholders, investitori e clienti, che aiuta a costruire e sviluppare un intangibile asset che è quello reputazionale.
Silvio de Girolamo di Autogrill, ha introdotto invece il concetto di dynamic risk management che stanno applicando in Autogrill nella gestione dei rischi. All’aumentare della complessità, per gestire i rischi di un’organizzazione occorre pensare ad un ambito dinamico, che implica una interrelazione e interconnessione dei rischi tra di loro per poter individuare e gestire prioritariamente i rischi che ne implicano altri e l’azienda sta sperimentando questo modello per poter gestire in maniera più tempestiva i possibili rischi.
Al termine della tavola rotonda, a Guglielmina Onofri il compito di raccontare il punto di vista di Consob sulle Dichiarazioni Non Finanziarie presentate in applicazione del D.lgs. 254.
Dalla prima analisi delle DNF pervenute si evince una diversità sia in termini di modalità di presentazione che in termini di contenuti riportati. Le relazioni variano da 40 a 300 pagine. Certamente la discrezionalità delle aziende nella individuazione ed esplicitazione delle attività in tema di sostenibilità ha avuto il suo peso così come il business di riferimento. Occorrerà, tuttavia, iniziare un dialogo con le aziende volto a realizzare una comparabilità delle relazioni in generale, di quelle sulle quali Consob eserciterà attività di vigilanza, in particolare. Consob è in procinto di esplicitare i criteri di correttezza delle rendicontazioni, già menzionati nel regolamento di qualche mese fa, e si pone l’obiettivo di individuare le informazioni utili al mercato per supportare le aziende nella evidenziazione e strutturazione di queste informazioni.
In chiusura dei lavori, Andrea Moltrasio, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di UBI Banca, ha riassunto ‘cosa portare a casa dall’incontro’: la necessità di induction e formazione; un impegno strutturato degli stakeholders; la necessità che l’analisi di materialità sia nel processo di budget, di pianificazione quindi in fase strategica e, infine, che la sostenibilità dà valore all’investimento perché si deve guardare al lungo periodo.
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