Il Presidente 3.0 – Quale ruolo per una governance di successo?
Vorrei iniziare il mio intervento con due considerazioni preliminari: la prima riguarda l’approccio di questa iniziativa, che ha correttamente considerato che il ruolo del Presidente non è inquadrabile all’interno di uno schema rigido e predefinito di
Nota redazionale
Riprendiamo l’intervento fatto alla Comunità di pratica di Nedcommunity del 26 gennaio 2016 a Milano.
Vorrei iniziare il mio intervento con due considerazioni preliminari: la prima riguarda l’approccio di questa iniziativa, che ha correttamente considerato che il ruolo del Presidente non è inquadrabile all’interno di uno schema rigido e predefinito di compiti e di responsabilità, ma che al contrario deve adattarsi alle specificità che caratterizzano l’impresa, in special modo dal punto di vista dei suoi assetti proprietari, delle sue dimensioni, della sua storia, dello specifico business di riferimento e della sua appartenenza o meno ad un settore soggetto a regolamentazione e vigilanza: diversi profili che oggi mi sembrano ben rappresentati a questo tavolo.
Per quanto mi riguarda, porto il contributo della mia esperienza trascorsa in Enel e di quella attuale in Saipem: due imprese leader di grandi dimensioni, con una spiccata vocazione a competere sui mercati internazionali, con una rilevante presenza nell’azionariato di investitori istituzionali internazionali, con una quota di proprietà pubblica tale da configurare un controllo di fatto dello Stato, diretto nel caso di Enel, indiretto (tramite Eni) nel caso di Saipem, che peraltro ha recentemente assistito all’ingresso diretto dello Stato nel suo azionariato per il tramite del Fondo Strategico Italiano.
E qui vengo alla seconda considerazione preliminare: durante la mia Presidenza cumulata nelle due società che ho appena citato, ho convissuto con 4 Presidenti del Consiglio e 5 Ministri dell’Economia, esponenti di Governi politici (di centrodestra e di centrosinistra) e di un Governo tecnico: ebbene, mai ho ricevuto da esponenti di questi Governi una richiesta di fare o di non fare qualcosa, mai ho avuto evidenze che anche per l’Amministratore delegato non sia stato così, mai sono stato invitato dall’azionista pubblico per riferire, insieme all’Amministratore delegato, sull’andamento dell’azienda e sulle sue prospettive strategiche.
La mia esperienza mi dice quindi che l’atteggiamento dell’azionista pubblico è quello di un azionista che non interferisce con la gestione e che non svolge il ruolo di indirizzo strategico e supervisione: un’azionista che una volta designati gli organi sociali lascia ampia autonomia ai vertici aziendali in merito alle decisioni strategiche ed operative.
Questo aspetto fa sì che – nonostante il loro peculiare assetto proprietario – dal
punto di vista del governo societario queste imprese siano assimilabili alle imprese di grande dimensione a proprietà diffusa, nelle quali non esiste un azionista (o un gruppo di azionisti) di riferimento che eserciti in modo attivo il ruolo di indirizzo e supervisione; le considerazioni che mi accingo a svolgere ritengo quindi siano valide non solo per la categoria di imprese che qui rappresento in senso stretto, ma anche per la categoria delle public companies, un modello sino ad oggi poco diffuso nel nostro Paese, che tuttavia la globalizzazione dei mercati e la crescita dimensionale quale fattore competitivo inevitabilmente contribuiranno a sviluppare, sulla scia di quanto avvenuto sinora in Italia prevalentemente nel settore bancario.
Fatte queste due premesse, mi accingo ora a inquadrare il ruolo del Presidente per come l’ho interpretato nella mia esperienza, facendo riferimento alle due principali criticità che, a mio avviso, caratterizzano sul piano del governo societario questa tipologia di imprese:
- la tendenza del management all’autoreferenzialità;
- la propensione del management a privilegiare nelle proprie decisioni i risultati di breve termine.
Ad evitare qualsiasi fraintendimento, chiarisco subito che non mi riferisco ad alcuna specifica situazione: si tratta infatti di fenomeni oggettivi, ampiamente diffusi nelle grandi aziende nelle quali il management ha, nel rapporto con i propri azionisti, un potere elevato. Questi fenomeni sono stati tra i fattori principali del dissesto di Lehman Brothers e della crisi del sistema finanziario internazionale, con gli effetti devastanti sull’economia reale dai quali ancora oggi non ci siamo del tutto ripresi. E tutto ciò a dimostrazione di quali danni una governance inadeguata può provocare.
In questi anni molto si è fatto sul piano legislativo, regolamentare e del codice di autodisciplina, ma sul piano della cultura della Corporate Governance i progressi sono stati lenti ed è per questo che i due temi (autoreferenzialità e orientamento al breve termine) sono ancora aperti.
L’autoreferenzialità del management è un elemento oggettivo, che tende a manifestarsi in termini generalizzati nelle situazioni in cui l’azionariato è diffuso, o comunque non esiste un singolo azionista (o un nucleo di azionisti) che abbia la volontà o il potere di svolgere un effettivo ruolo di indirizzo strategico, supervisione e controllo: in queste situazioni il ruolo del Presidente ed il tema della gestione dei suoi rapporti con l’Amministratore delegato ed il management in generale assumono un’importanza cruciale.
Innanzitutto il Presidente non deve avere compiti esecutivi (che invece competono all’ Amministratore delegato), ma compiti e prerogative di bilanciamento e di contrappeso rispetto a quest’ultimo. Un efficace esercizio di tali prerogative presuppone che il Presidente possieda all’atto della sua nomina il requisito dell’indipendenza; si tratta di una questione non di forma, ma di vera e propria sostanza, che implica che il Presidente non deve aver avuto, prima dell’assunzione di tale carica, un coinvolgimento con un ruolo esecutivo nella gestione dell’impresa; tale condizione, infatti, gli impedirebbe di avere autonomia di giudizio sia rispetto alle scelte gestionali operate nel recente passato, sia nei confronti dell’Amministratore delegato in carica. Per tale motivo, The UK Corporate Governance Code prescrive espressamente (a differenza del Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, che nulla stabilisce in proposito) il principio che il Presidente all’atto della nomina dovrebbe possedere il requisito dell’indipendenza, chiarendo in modo esplicito che un chief executive non dovrebbe diventare Presidente della medesima azienda, se non in circostanze eccezionali che il Consiglio di amministrazione dovrebbe adeguatamente motivare agli azionisti. In questa ottica, una chiara e distinta attribuzione di responsabilità tra Presidente e Amministratore delegato è essenziale non solo per evitare conflittualità ed effetti destabilizzanti sul governo dell’impresa, ma anche per consentire al Presidente di preservare indipendenza e autonomia di giudizio, elementi indispensabili per esercitare la funzione di garanzia nell’interesse di tutti gli stakeholders. In questa prospettiva il Presidente è inoltre nella privilegiata condizione di poter osservare i fatti di gestione con il distacco che deriva dal suo ruolo e può quindi esercitare nei confronti dell’ Amministratore delegato quella funzione di critica costruttiva, che nell’ambito di un sano rapporto dialettico consente a quest’ultimo di confrontarsi con un soggetto non coinvolto nelle decisioni operative e che si colloca al di fuori delle linee gerarchiche dell’organizzazione aziendale; un confronto che deve essere continuo, ma che deve rimanere riservato e circoscritto ai due massimi esponenti aziendali, per evitare effetti destabilizzanti: Presidente e Amministratore delegato devono sviluppare una sana dialettica, ma devono anche saper pervenire ad una sintesi condivisa, che da quel momento in poi diventa la linea dei vertici aziendali, sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
La mia esperienza (in questo sono stato e sono un Presidente fortunato) mi insegna che quando il rapporto tra Presidente e Amministratore delegato si svolge tra persone intellettualmente e eticamente oneste, tra persone che hanno come priorità il perseguimento e la tutela dell’interesse dell’azienda e dei suoi azionisti, tra persone che si fidano reciprocamente e che rispettano l’uno il ruolo dell’altro, anche nelle situazioni più complesse e più controverse si riesce sempre a trovare una linea comune.
La funzione di garanzia del Presidente e il suo ruolo di contrappeso nei confronti dell’ Amministratore delegato trovano una concreta attuazione nel processo di nomina e revoca di due delicatissimi ruoli manageriali, quali il Responsabile della funzione Internal Audit e il Dirigente preposto alla compilazione dei documenti contabili societari: in entrambi i casi in Saipem è il Presidente, d’intesa con l’ Amministratore delegato, a formulare al Consiglio di Amministrazione le relative proposte, sentito il parere dei comitati competenti. L’attribuzione di un ruolo al Presidente in queste decisioni è funzionale ad assicurare ai responsabili di queste due funzioni l’indipendenza e l’autonomia necessarie per svolgere al meglio i propri compiti. E questo obiettivo, nel caso del responsabile della funzione Internal Audit, è ulteriormente rafforzato dalla decisione che abbiamo preso di prevedere (per la prima volta nella nostra azienda) che questa figura dipenda gerarchicamente dal consiglio di amministrazione e, per esso, dal suo Presidente. Soluzione che introducemmo anche in Enel quando ne assunsi la Presidenza.
Per quanto riguarda i compiti del Presidente, il principale è quello di esercitare un ruolo di impulso sul funzionamento del Consiglio di Amministrazione, promuovendo l’attuazione delle prerogative a questo riservate, stabilendo l’ordine del giorno delle riunioni, verificando che i Consiglieri ricevano tempestivamente la documentazione sulle materie iscritte all’ordine del giorno, formulando la proposta in merito alla istituzione dei Comitati endoconsiliari (con la relativa composizione e i relativi compiti), nonché coordinando le attività di questi ultimi. Talora si attribuisce a questi compiti un profilo burocratico-procedurale, quasi che ad essi non corrisponda un potere di incidere sul governo dell’impresa: nulla di più sbagliato. In realtà il Presidente, proprio per poter svolgere efficacemente il compito di organizzare i lavori del Consiglio di Amministrazione, ha il diritto-dovere di essere informato sugli aspetti rilevanti della gestione dell’impresa, a cui corrisponde il potere di accedere a tutte le informazioni aziendali e alle relative funzioni manageriali competenti. Si tratta indubbiamente di un potere diverso da quello (di natura prettamente gestionale) dell’ Amministratore delegato e per certi versi di ordine addirittura superiore, in quanto discende dalla legge e dallo Statuto e non deriva da una delega consiliare che il consiglio può in qualunque momento modificare o revocare: un potere che si traduce nella decisione di portare determinati argomenti all’attenzione e alla decisione del Consiglio di Amministrazione, che è il massimo organo di governo dell’impresa. Quindi si tratta di compiti solo apparentemente burocratico-procedurali, ma che in realtà se svolti in modo efficace sono di grande sostanza e hanno il pregio di valorizzare la centralità del ruolo del Consiglio di Amministrazione nel governo dell’impresa, centralità che è il vero elemento che crea quel bilanciamento di poteri, quei pesi e contrappesi che assicurano una gestione “democratica” dell’impresa e limitano le naturali tendenze all’autoreferenzialità.
Passando al secondo profilo di criticità (l’orientamento al breve periodo), esso trae origine dal rapporto che si è creato tra management e mercati finanziari, un rapporto nel quale il management è inevitabilmente condizionato dalla pressione esercitata dalla necessità di conseguire risultati (addirittura su base trimestrale) in linea con il consensus degli analisti e con le aspettative degli investitori; questa circostanza, insieme al fatto che chi ha compiti esecutivi è inevitabilmente assorbito dalla quotidianità e dalla gestione delle problematiche contingenti, ha diffuso nelle imprese una cultura e una prospettiva improntate al breve termine, che privilegiano la massimizzazione dei risultati nell’arco di tale orizzonte temporale, a scapito della ricerca delle condizioni di creazione di valore sostenibile nel lungo periodo. Il Presidente, che come detto non deve avere compiti esecutivi, per questa ragione è nelle condizioni ideali per non subire questo condizionamento e per svolgere anche sotto questo profilo quel necessario ruolo di bilanciamento nei confronti dell’ Amministratore delegato, garantendo che l’impronta strategica e gestionale di breve e medio periodo sia sempre coerente ed in linea con la visione e la missione aziendale di lungo periodo: il Presidente deve quindi promuovere e favorire il dibattito consiliare sull’evoluzione degli scenari economici, tecnologici e competitivi, sulle conseguenti strategie a medio-lungo termine dell’impresa, con una particolare attenzione al profilo di sostenibilità dei risultati economici e finanziari attesi. Questo ruolo di bilanciamento del Presidente non si deve esaurire nell’ambito del Consiglio di Amministrazione, ma si deve riflettere anche nella gestione dei rapporti con gli azionisti. Quando questi rapporti sono gestiti esclusivamente dal management, il rischio che l’attenzione ai risultati di breve termine prevalga sulla visione di lungo periodo è concreto: in queste situazioni, infatti, tende a materializzarsi un circolo vizioso, nel quale il management cerca la legittimazione e il consenso degli investitori (il cui peso nelle maggioranze assembleari di questa tipologia di imprese è crescente), enfatizzando e perseguendo risultati di breve periodo, prestando grande attenzione alla politica dei dividendi e, per questa via, perseguendo la massimizzazione del TSR a breve per gli investitori, che a loro volta in questo modo perseguono l’obiettivo di massimizzare la performance a breve degli asset in gestione. È quindi importante che il Presidente eserciti il proprio ruolo di garanzia per gli azionisti, gli investitori e in generale gli stakeholders, intrattenendo i rapporti con la generalità dei medesimi, comunicando periodicamente in modo trasparente, assicurando che tra gli stessi non vi siano asimmetrie informative. Per lo svolgimento di questo compito il Presidente naturalmente si deve coordinare con l’Amministratore delegato per evitare di creare canali di comunicazione paralleli e confliggenti e a tal fine si deve avvalere delle strutture aziendali competenti. Anche in questo caso è fondamentale che tra le due figure vi sia sinergia e coesione nei comportamenti per rappresentare all’esterno, ma anche all’interno, un contesto di stabilità, di unità d’intenti e di allineamento tra strategia ed operatività.
A questo proposito, in qualità di Presidente di Saipem nel mese di ottobre dello scorso anno ho partecipato, con l’ Amministratore delegato e il top management, alla presentazione agli investitori del piano strategico e della proposta di aumento di capitale, con una suddivisione dei compiti chiara e rispettosa dei ruoli: il Presidente ha introdotto la presentazione illustrando le linee di indirizzo strategico approvate dal Consiglio di Amministrazione, ha chiarito le motivazioni sulla cui base quest’ultimo era pervenuto alla decisione di proporre all’Assemblea dei soci l’aumento di capitale e il rifinanziamento del debito con Eni, ha declinato le iniziative prese per rafforzare e migliorare la Corporate Governance; l’ Amministratore delegato e il top management hanno illustrato in dettaglio il piano strategico e affrontato i principali temi di business. Abbiamo preso atto della positiva reazione degli investitori nell’incontrare anche il Presidente e nel vedere trattati i temi relativi alla Governance, che spesso sono trascurati in queste occasioni e che invece dovrebbero essere tra quelli di maggior interesse per gli investitori, per i quali la Governance non dovrebbe essere vista come mero strumento di compliance, ma come strumento di creazione e di protezione del valore; in questa ottica essa sempre più dovrebbe essere un criterio discriminante nella scelta se investire o meno in una certa azienda piuttosto che in un’altra. Osservavo poco fa che sul piano della cultura della Corporate Governance c’è ancora molta strada da fare: ebbene, questo non vale solo per coloro che hanno posizioni di responsabilità nel mondo delle imprese, ma vale anche per gli investitori e per chi opera nel mondo dell’informazione; gli uni e gli altri ancora troppe volte sono attratti dal modello dell’”uomo solo al comando” e sottovalutano i rischi che questa tentazione ha per le aziende e per i loro stakeholders.
Per testimoniare come per gli investitori più evoluti una buona Governance sia invece un fondamentale criterio di valutazione e selezione degli investimenti, vorrei raccontare un episodio: durante la mia Presidenza di Enel ho ricevuto una lettera da Laurence Fink, CEO di Blackrock, azionista della nostra società e tra i principali investitori istituzionali al mondo, una lettera i cui contenuti mi colpirono così favorevolmente che decisi di darne lettura, nei suoi passaggi più significativi, nel corso dell’Assemblea dei soci e che qui ritengo utile richiamare.
“Come investitore istituzionale uno dei nostri obiettivi prioritari è quello di assicurare un futuro migliore per i nostri clienti […]. Una responsabilità che richiede da parte nostra la capacità di saper gestire al meglio i capitali che ci vengono affidati, affrontando le sfide nel breve periodo tenendo al contempo una visione di insieme di quello che è il contesto di lungo periodo […]. Siamo convinti che le imprese in cui noi investiamo dovrebbero agire nello stesso modo, concentrandosi e adoperandosi per ottenere dei rendimenti che siano sostenibili nel lungo periodo.
[…] Siamo preoccupati perché sulla scia della crisi finanziaria, molte aziende hanno evitato di investire nella loro crescita futura; troppe imprese hanno tagliato gli investimenti aumentando persino il loro indebitamento per incrementare i dividendi e l’acquisto di azioni proprie. Siamo invece convinti che la restituzione di liquidità agli azionisti dovrebbe essere inserita nell’ambito di una strategia di capitale bilanciata; al contrario quando viene effettuata con presupposti errati e a scapito degli investimenti essa rischia di compromettere la capacità dell’azienda di generare risultati sostenibili nel lungo periodo [……] Consapevoli di quanto sia importante l’equilibrio tra le performance di breve termine e gli investimenti necessari a sostenere la crescita, [……] Vi chiediamo dunque di aiutare noi e gli altri azionisti, a comprendere gli investimenti che state effettuando per il raggiungimento di quei risultati sostenibili nel lungo periodo su cui i nostri clienti fanno affidamento e per cui continuiamo a sostenervi”.
Ho accolto con favore questa richiesta, così come l’invito, anch’esso contenuto nella missiva, di favorire il dialogo e il confronto tra imprese e azionisti su temi di Governance così rilevanti. Al punto che ho deciso di affrontare queste tematiche nel corso dell’Assemblea, che rappresenta la sede più appropriata per sviluppare questo dialogo in modo trasparente e a vantaggio di tutti gli azionisti.
E in quella sede ho risposto che le considerazioni di Laurence Fink erano pienamente condivisibili ed erano le medesime considerazioni che avevano guidato il sottoscritto e l’intero Consiglio di Amministrazione in occasione di alcune decisioni volte a mantenere la stabilità finanziaria, riducendo l’indebitamento di Enel senza tuttavia pregiudicare le sue opportunità di crescita nel lungo periodo, mediante:
- un’attento monitoraggio dei flussi di cassa operativi;
- una politica degli investimenti che, nell’ambito di una complessiva riduzione, ha mantenuto inalterato il valore assoluto degli investimenti nei business e nelle aree geografiche in crescita (energie rinnovabili, reti intelligenti, ricerca e innovazione, paesi emergenti);
- una politica di dismissioni coerente con l’evoluzione del contesto esterno e con le linee di indirizzo strategico;
- e, infine, una politica dei dividendi equilibrata e bilanciata, politica che nel 2012 ha ispirato la decisione di ridurre il payout al 40%, sulla base del convincimento che la remunerazione degli azionisti è un obiettivo prioritario, ma a condizione che non pregiudichi la stabilità finanziaria e la capacità dell’impresa di realizzare gli investimenti necessari per generare risultati sostenibili nel lungo periodo.
Penso che questo episodio sia un esempio di best practice nel governo societario, un esempio virtuoso del dialogo che si deve sviluppare tra l’impresa e i suoi azionisti, sia nei contenuti, sia nelle modalità, che hanno visto il ruolo centrale del Presidente – al quale l’azionista si è correttamente rivolto per il suo ruolo di garanzia – e dell’Assemblea dei soci, che ho ritenuto fosse la sede più appropriata per sviluppare questo dialogo.
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