Dura lex
Intervento di Eva Desana su “I vizi del procedimento CONSOB tra Corte EDU e Consiglio di Stato: dal caso Grande Stevens alla vicenda Banca Profilo”
Nota editoriale
In linea col nostro costante impegno di interazione della rivista Ned con i lettori e i collaboratori, in accordo con la curattrice della rubrica Annapaola Negri-Clementi, siamo lieti di pubblicare in questo numero l’intervento della giurista Eva Desana, associata Ned, Professore associato di diritto commerciale presso l’Università degli Studi di Torino; Studio Legale Musumeci, Altara, Desana e Associati ([email protected]).
Questo intervento fa seguito al precedente articolo di Eva Desana pubblicato nel N. 22, intitolato “Dall’affaire Grande Stevens al caso Banca Profilo: luci e ombre del procedimento sanzionatorio CONSOB”.
I vizi del procedimento CONSOB tra Corte EDU e Consiglio di Stato: dal caso Grande Stevens alla vicenda Banca Profilo
Due recenti sentenze hanno messo in luce le criticità dei procedimenti amministrativi celebrati avanti alla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), rendendo impellente, quanto meno, un intervento correttivo da parte della stessa Autorità di Vigilanza (ma le considerazioni, come si vedrà, valgono anche per altre Autorità amministrative indipendenti).
Il riferimento è in primis alla decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo 4 marzo 2014, resa all’esito del contenzioso noto come “affaire Grande Stevens et autres c. Italie”. In quel caso, i Giudici di Strasburgo, oltre ad aver accertato che la disciplina italiana in tema di abusi di mercato introdotta nel TUF 58 del 1998 contrasta con il divieto di perseguire e punire il medesimo fatto illecito due volte (c.d. ne bis in idem) sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950 (CEDU), hanno altresì riconosciuto che il procedimento che si svolge avanti alla CONSOB per l’accertamento dell’illecito amministrativo di manipolazione del mercato non garantisce l’equo processo prescritto dall’art. 6 della CEDU. La seconda è la recentissima pronuncia del Consiglio di Stato del 26 marzo 2015, con cui i giudici amministrativi hanno statuito che la normativa secondaria adottata dalla CONSOB per disciplinare i procedimenti amministrativi sanzionatori è illegittima (in vero si tratta di due sentenze gemelle rese tra la CONSOB e Banca Profilo SpA e tra la CONSOB e Arepo SpA, socio di controllo di Banca Profilo).
La decisione della Corte EDU
La vicenda sottesa alla decisione della Corte Europea è nota alla cronaca finanziaria: con la Delibera 15760 del 2007 la CONSOB, ritenendo che la IFIL e la Giovanni Agnelli SAPA, controllanti della Fiat SpA (e alcuni loro esponenti) avessero fornito al mercato informazioni non veritiere con il comunicato del 24 agosto 2005 – commettendo così l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato ex art. 187-ter TUF – aveva irrogato loro severe sanzioni pecuniarie. La sussistenza dell’illecito amministrativo era stata confermata da cinque coeve sentenze del 23 gennaio 2008 della Corte d’Appello di Torino, avanti alla quale erano state impugnate le sanzioni CONSOB; i successivi ricorsi in Cassazione contro le stesse erano stati rigettati dai Giudici di legittimità, a Sezioni Unite, con cinque decisioni del 30 settembre 2009, nn. 20935-20939, che avevano escluso, tra l’altro, l’esistenza di vizi nel procedimento amministrativo che si era svolto di fronte all’Autorità di Vigilanza. Parallelamente, era stato avviato dalla Procura di Torino un procedimento penale per le stesse condotte che, oltre all’illecito amministrativo, integravano altresì il corrispondente reato di manipolazione del mercato, punito dall’art. 185 TUF; il procedimento penale si è concluso nel dicembre 2013 con la pronuncia della Cassazione che ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Nel frattempo, però, i soggetti sanzionati dalla CONSOB avevano adito la Corte Europea, lamentando sotto molteplici profili la violazione della CEDU.
Soffermandoci esclusivamente sul tema dei vizi del procedimento CONSOB, i Giudici di Strasburgo hanno statuito che nel caso sottoposto al loro esame il procedimento amministrativo non avesse garantito il principio del contraddittorio e che la CONSOB non potesse considerarsi un Giudice imparziale e indipendente ai sensi dell’art. 6 della Carta internazionale (che impone tra l’altro lo svolgimento di un’udienza pubblica).
La sentenza della Corte Europea è stata immediatamente invocata nella seconda vicenda, che vede tuttora contrapposte alla CONSOB la Banca Profilo SpA e il suo socio di controllo Arepo SpA. Ed infatti nel corso di due paralleli procedimenti avviati contro di loro dall’Autorità di vigilanza per manipolazione del mercato, tali società si sono rivolte al Tar Lazio chiedendo che fosse accertata l’illegittimità dei procedimenti stessi, proprio sulla scorta delle statuizioni della Corte EDU. L’azione è stata proposta innanzi al giudice amministrativo in quanto i procedimenti non si erano ancora conclusi con l’eventuale irrogazione di sanzioni (che ai sensi dell’art. 187-septies TUF sono invece impugnabili avanti la Corte d’Appello e dunque di fronte all’autorità giudiziaria ordinaria).
Il quadro normativo e regolamentare di riferimento
Per meglio comprendere le questioni giuridiche sottese a entrambe le vicende, occorre ricordare che la normativa italiana all’epoca in vigore era costituita dall’art. 187-septies TUF e dalle delibere CONSOB n. 15086 del 2005 e n. 12697 del 2 agosto 2000 (recentemente sostituite dalla delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013); mentre l’art. 187- septies, tuttora vigente, al 2° comma dispone che il procedimento sanzionatorio è “retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonchè della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie”, le norme adottate dall’Autorità di Vigilanza non prevedevano né la celebrazione di un’udienza pubblica avanti ai Commissari CONSOB né la trasmissione agli incolpati della relazione conclusiva formata dall’Ufficio Sanzioni Amministrative della CONSOB (l’“U.S.A.”) che viene trasmessa direttamente ai Commissari; neppure era assicurata una netta separazione fra gli uffici “inquirenti” (la Divisione Insider Trading poi divenuta Ufficio Abusi di mercato e l’U.S.A.) e i “giudici”, ovvero i Commissari CONSOB, chiamati a pronunciarsi sulla sussistenza dell’illecito amministrativo contestato. Gli stessi principi sanciti dall’art. 187-septies TUF sono scolpiti dall’art. 24 della l. 262 del 2005 (“i procedimenti di controllo a carattere contenzioso e i procedimenti sanzionatori sono svolti nel rispetto dei princìpi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione”): essi trovano applicazione non solo con riferimento ai procedimenti sanzionatori della CONSOB, ma anche con riguardo a quelli della Banca d’Italia, dell’ISVAP (oggi IVASS) e della COVIP.
Le statuizioni della Corte EDU
Nell’Affaire Grande Stevens i Giudici europei, qualificando le sanzioni amministrative in tema di market abuse come sostanzialmente penali, hanno stigmatizzato il mancato invio agli incolpati della Relazione Conclusiva dell’U.S.A. e l’assenza di un’udienza di fronte ai Commissari, statuendo che “la procédure devant la CONSOB ne satisfaisait pas à toutes les exigences de l’article 6 de la Convention […]“. Analoghe conclusioni sono state espresse con riferimento alla sua imparzialità e indipendenza: la Corte europea ha ammesso che, benché la normativa italiana all’epoca in vigore prevedesse una certa separazione fra gli organi incaricati dell’inchiesta (la Divisione Insider Trading e l’Ufficio Sanzioni Amministrative, di seguito “U.S.A.”) e l’organo competente a decidere sull’esistenza dell’infrazione (i Commissari), nondimeno si trattasse di divisioni di una stessa Autorità amministrativa, che agiva sotto l’autorità e la vigilanza di uno stesso Presidente.
La Corte EDU ha tuttavia mitigato la portata delle statuizioni, affermando che affinché si potesse ritenere sussistente una violazione dell’art. 6 CEDU fosse necessario verificare che le garanzie dell’equo processo non fossero state assicurate neppure nel successivo procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni irrogate dalla CONSOB, celebrato avanti alla Corte d’Appello di Torino. E nel caso di specie è risultata accertata la violazione dell’art. 6, in quanto l’udienza tenutasi di fronte al collegio torinese non era stata pubblica, ma si era svolta in Camera di Consiglio.
Il caso Profilo e le statuizioni dei Giudici amministrativi
L’illegittimità del procedimento CONSOB è stata invocata da Banca Profilo (e da Arepo) nella vertenza contro l’Autorità di Vigilanza, proprio alla luce della sentenza della Corte EDU.
La tesi è stata respinta dal Tar Lazio, secondo il quale la Corte di Strasburgo avrebbe sì ammesso che nell’“affaire Grande Stevens” “la procédure devant la CONSOB ne satisfaisait pas à toutes les exigences de l’article 6 de la Convention […]“, ma avrebbe attenuato il rilievo di tali affermazioni stabilendo che l’art. 6 CEDU sia violato soltanto allorquando le garanzie dell’equo processo non siano osservate neppure nel successivo procedimento giurisdizionale di opposizione alle sanzioni applicate dalla CONSOB. Pertanto il Tar Lazio ha escluso che la sentenza della Corte EDU comporti “‘l’obbligo della CONSOB di adeguare il proprio regolamento sanzionatorio per le sanzioni ‘penali’ alla sentenza CEDU su menzionata, in quanto “il sistema di irrogazione e impugnazione delle sanzioni relative agli illeciti di cui all’art. 187- ter del TUF ha superato indenne lo scrutinio operato dalla Corte EDU”.
La decisione è stata impugnata di fronte al Consiglio di Stato che, pur rigettando le domande della Banca Profilo (e di Arepo Spa) per difetto di interesse dei ricorrenti in quanto i relativi procedimenti amministrativi avviati dalla CONSOB non si erano ancora conclusi con l’irrogazione di una sanzione, ha ritenuto sussistenti i vizi, concludendo che nel procedimento CONSOB il contraddittorio si pone “al di sotto dello standard […] fissato dal legislatore”.
Il Consiglio di Stato ha così puntualizzato che l’illegittimità dell’impianto sanzionatorio CONSOB discende non tanto da un contrasto tra disciplina italiana e norme europee, quanto da un conflitto tra normativa secondaria CONSOB (in particolare il regolamento Consob n. 15086 del 2005 all’epoca in vigore) e la legge ordinaria. Secondo i consiglieri di Stato non vi sarebbe contrasto con la normativa europea, posto che l’art. 6 della CEDU non impone la celebrazione di un “processo equo” già avanti all’Autorità amministrativa, ma richiede soltanto che nella fase processuale che ne segua, ovvero quella dell’impugnazione avanti all’Autorità giudiziaria dell’eventuale sanzione irrogata a conclusione del procedimento amministrativo, siano garantiti i canoni del giusto processo.
La disciplina italiana dei procedimenti sanzionatori – prosegue il Consiglio di Stato – deve nondimeno ritenersi illegittima in quanto le regole dettate dalla CONSOB (e cristallizzate nel regolamento n. 15086 del 2005) confliggono con le previsioni della legge ordinaria, che impongono il rispetto dei principi del contraddittorio, della piena conoscenza degli atti istruttori e della separazione fra funzioni istruttorie e decisorie. In altre parole, sono le norme secondarie adottate dalla CONSOB a non assicurare i principi sanciti dal legislatore e cristallizzati negli articoli 187-septies e 24 della l. 262 del 2005.
Gli scenari futuri
La battaglia giudiziaria tra la CONSOB e Banca Profilo non è ancora cessata: a quanto consta, le statuizioni del Consiglio di Stato sono state impugnate in Cassazione, cosicchè occorrerà attendere il verdetto della Suprema Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sui possibili vizi del procedimento CONSOB. Come si è ricordato, il tema era già stato affrontato dalle Sezioni Unite del 30 settembre 2009 che avevano negato la sussistenza di profili critici; si trattava però delle decisioni rese nell’affaire Grande Stevens su cui è successivamente intervenuta la Corte EDU. Non è dunque improbabile che, mutato lo scenario e maturati i tempi, il Giudice di legittimità torni sui suoi passi.
Nelle more di un nuovo pronunciamento pare però ineludibile un intervento della CONSOB. Non va infatti dimenticato che i vizi censurati, che attenevano al regolamento n. 15086 del 2005 sono presenti anche nella delibera 18750 del 19 dicembre 2013 che disciplina l’attuale procedimento sanzionatorio CONSOB e che è stata adottata dalla stessa Autorità di Vigilanza.
Due sono i punti dolenti messi a nudo dal Giudice amministrativo (e che potrebbero essere emendati con una modifica della normativa secondaria ad opera della stessa Autorità): 1) il mancato invio all’incolpato della relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, che viene trasmessa direttamente ai Commissari; 2) l’assenza di uno spazio per replicarvi, secondo un modello procedimentale che imporrebbe invece di assegnare all’incolpato l’ultima parola. Per porre rimedio a tali vizi sarebbe sufficiente che il regolamento CONSOB prescrivesse il preventivo invio della Relazione Conclusiva all’incolpato e l’assegnazione al medesimo di un breve termine per repliche (scritte o verbali).
A questi si aggiungono due ulteriori criticità rimaste sullo sfondo nelle sentenze del Consiglio di Stato e che sembrano invece richiedere un intervento legislativo: l’assenza di un’udienza pubblica e la non completa separazione tra i diversi uffici della CONSOB.
Riguardo all’udienza pubblica, il Consiglio di Stato ha chiarito che in ossequio all’art. 6 della CEDU non sarebbe richiesto lo svolgimento di un dibattimento a porte aperte avanti all’Autorità di Vigilanza, ma sarebbe sufficiente che sia assicurata la celebrazione di un’udienza pubblica nell’eventuale causa di opposizione alla sanzione amministrativa adottata a conclusione del procedimento; senonchè il nostro ordinamento attualmente impone la tenuta di un’udienza “a porte aperte” soltanto nell’opposizione a sanzioni CONSOB in materia di abusi di mercato (art. 187- septies TUF), mentre gli altri giudizi avverso sanzioni CONSOB si svolgono in Camera di Consiglio (art. 195 TUF). Occorrerebbe quindi modificare le relative disposizioni di legge primaria (e in tale senso risulta essere stata presentata una proposta della Commissione Finanze e Tesoro).
Con riferimento alla separazione tra uffici all’interno dell’Autorità di Vigilanza il discorso è più complesso: come statuito al par. 127 della sentenza EDU nell’affaire Grande Stevens la CONSOB non è un Giudice imparziale e indipendente ai sensi dell’art. 6 della CEDU; anche in questo caso la norma convenzionale sembra richiedere soltanto che il successivo giudizio di impugnazione delle sanzioni si svolga di fronte ad un Giudice che presenti tali connotati (quale è indubbiamente la Corte d’Appello). Più difficile è assicurare il rispetto della normativa interna, dal momento che l’art. 24 della l. 262 del 2005 (ma anche gli art. 187-septies e 195 TUF) richiedono espressamente che il principio della separazione tra funzioni istruttorie e decisorie sia assicurato nello stesso procedimento amministrativo. A tal fine parrebbe opportuno un ripensamento dell’articolazione della CONSOB con riferimento all’esercizio del suo potere sanzionatorio (e delle altre Autorità di Vigilanza egualmente contemplate dall’art. 24 della l. 262 del 2005).
In ogni caso i tempi sono sicuramente maturi per avviare una riflessione sull’argomento, anche alla luce dell’indubbio ruolo di garanzia e di controllo che le Autorità amministrative indipendenti sono chiamate a ricoprire e della necessità che l’autorevolezza di cui esse devono godere non sia minata da vizi del relativo procedimento o offuscata da ombre sulla loro imparzialità.
Eva Desana
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Annapaola Negri-Clementi, (Partner di Negri-Clementi Studio Legale Associato)