NED e politiche di sostenibilità
Il numero di luglio-agosto 2014 di Harvard Business Review ospita un articolo dal titolo “La sostenibilità nel consiglio di amministrazione”. Vi si racconta l’esperienza di Nike, una società che nel giro di un decennio da sinonimo di “paghe da schiavi,
Come Sostenibilità e CSR entrano nell’agenda dei CdA delle quotate italiane
Il numero di luglio-agosto 2014 di Harvard Business Review ospita un articolo dal titolo “La sostenibilità nel consiglio di amministrazione”.
Vi si racconta l’esperienza di Nike, una società che nel giro di un decennio da sinonimo di “paghe da schiavi, straordinari obbligatori e abusi arbitrari di ogni genere” è passata ad essere un soggetto d’avanguardia nell’affrontare le questioni sociali e ambientali in una prospettiva di innovazione, con risultati brillanti tanto per la comunità quanto per l’impresa stessa. Il merito principale di questa trasformazione spetta a Jill Ker Conway, una NED a cui prima è stata affidata la delega per la CSR (Corporate Social Responsibility) nel consiglio di amministrazione e che, in seguito, ha dato vita a un Comitato per la sostenibilità, che ospitava anche altri NED e vedeva la costante partecipazione dell’Amministratore delegato. È stato questo Comitato che ha trasformato la CSR da problema da affrontare per arginare gli attacchi della società civile (rafforzando vigilanza, controlli e funzioni di risk management) a stimolo per innovazioni di prodotto e di processo.
L’articolo chiude affermando che, in un contesto connotato da problematiche sempre più vaste legate alla sostenibilità, non sarà più possibile per i membri del C.d.A. eludere questi argomenti: “È venuto il momento per i leader del mondo aziendale, Cda ed esperti di governance, di cominciare a chiedersi che ruolo i consigli e i comitati interni ad essi dovrebbero avere nel momento in cui si cerca di risolvere questi problemi e decidere se un comitato di responsabilità d’impresa sia parte della risposta”.
Bene, nel contesto italiano, con una interessante coincidenza di tempi, il CSR Network1 ha promosso una ricerca caratterizzata dalla stessa preoccupazione di fondo: se la sostenibilità non varca la soglia del C.d.A. non può dirsi integrata con la strategia aziendale. E così l’impresa rimane a rischio di profonde crisi reputazionali ed economiche e la società in balia di ingiustizie sociali e disastri ambientali.
In particolare la ricerca del Network, realizzata da ALTIS2 in collaborazione con Nedcommunity e Assonime, ha inteso verificare se all’interesse per i temi di CSR dichiarato dai vertici delle quotate italiane corrisponda un effettivo coinvolgimento del C.d.A. nella definizione e nell’implementazione di politiche socio-ambientali.
L’indagine si è articolata in tre sezioni. La prima ha previsto la somministrazione di un questionario alle imprese del FTSE-MIB (hanno risposto 31 su 40). La seconda è consistita nel confronto tra i dati italiani e i risultati di un’analoga ricerca realizzata nel Regno Unito. La terza sezione è stata imperniata su un nuovo questionario, questa volta indirizzato a un campione di amministratori non esecutivi associati a Nedcommunity.
Le 40 imprese del FTSE-MIB
Passiamo a considerare i risultati, cominciando da una fotografia delle 40 imprese del FTSE-MIB. Una prima evidenza è per certi versi incoraggiante. I nostri C.d.A. iniziano a fare i conti con la sostenibilità:
- più della metà esamina e approva le politiche aziendali di CSR;
- circa 2 su 3 sono periodicamente aggiornati sui rischi socio-ambientali connessi alle attività aziendali e sulle valutazioni degli stakeholders;
- un’impresa su quattro ha adottato pratiche per agganciare parte del compenso dei consiglieri esecutivi alle performance socio-ambientali dell’impresa (25,8%).
Le competenze dei C.d.A. in tema di CSR
Esiste tuttavia un sensibile calo man mano che si passa dalla forma alla sostanza:
- se il 90,3% dedica attenzione ai temi della CSR nel Codice Etico, solo il 42% lo fa nel piano industriale;
- • se il 51,61% dei C.d.A. approva le politiche generali di CSR, solo il 25,8% approva il piano dettagliato delle attività.
Molto interessante è considerare la dimensione organizzativa. Nelle grandi quotate italiane è ormai molto diffusa la presenza di una figura organizzativa dedicata alla CSR (77,4%), anche se l’interazione con il C.d.A. è meno uniforme, dato che il numero di C.d.A. che poi approva le politiche di CSR si attesta intorno al 51,6%. I C.d.A. tendono ad affidare la gestione delle tematiche socio-ambientali a comitati dedicati, siano essi relativi complessivamente alle tematiche socio-ambientali (29,03%), o specificamente a tematiche sociali (19,35%) e ambientali (12,90%). (cfr. Figure 10-11). L’individuazione di questi comitati, che assumono solitamente la forma di “Comitati per la Sostenibilità”, viene preferita alla nomina di consiglieri con funzioni non gestionali per le tematiche sociali e ambientali, non presenti in nessuna delle aziende analizzate.
La responsabilità gestionale dei temi di CSR è in capo a…
Per una valutazione sintetica dei dati le aziende esaminate sono state raggruppate in base al tipo di approccio alla CSR:
- Integrato con comitati (9,6%): solo una piccola quota di imprese ha introdotto nel C.d.A. un Comitato in tema di CSR, che ha il mandato di interagire con il CSR Manager e il suo team;
- Integrato collegiale (38,7%): sono più numerosi i casi in cui il C.d.A. dedica del tempo alla sostenibilità in modo collegiale. Vengono valutate le competenze dei consiglieri in tema di CSR ed è presente la figura del CSR manager;
- Orientato ai rischi (35,6%): per una quota significativa dei Consigli la CSR è considerata esclusivamente nella prospettiva del risk management. È presente invece nella struttura la figura del CSR manager;
- Simulato(16,1%): abbiamo – un po’ severamente – denominato come “simulato” il comportamento di quei C.d.A. che ufficialmente si occupano di CSR in sede di indirizzo strategico, ma che poi non monitorano l’avanzamento delle politiche socio-ambientali. Significativamente in queste imprese non è nemmeno presente il CSR Manager.
Il confronto con il Regno Unito
Nel confronto con le imprese del FTSE 100 britannico le nostre imprese escono, per così dire, sconfitte. Il loro impegno nella CSR è meno formalizzato, e limitato al solo ambito operativo. Le aziende italiane dichiarano genericamente l’importanza dei temi di CSR, ma non ne danno poi riscontro nei documenti aziendali, da cui emerge che la CSR non è frequentemente all’ordine del giorno dei vertici aziendali, ma viene più spesso affidata a livelli inferiori. Per avere un’idea della distanza tra i due contesti è sufficiente osservare che nel 53% delle società UK il C.d.A. è impegnato in prima linea nelle iniziative di CSR, mentre nelle aziende italiane questo gruppo rappresenta il 15% del totale, ad indicare un gap momentaneamente significativo ma comunque colmabile.
La formalizzazione degli impegni di CSR del C.d.A.
La parola ai NED
Passiamo ora a considerare il punto di vista della Nedcommunity italiana. Un primo dato fa riflettere: tra tutti gli associati a cui è stato inviato il questionario, solo tredici hanno dato risposta. Pur considerando tutte le problematiche relative alla raccolta dati, le poche risposte ottenute nonostante i molteplici inviti ufficiali indicano che il processo di sensibilizzazione su questi temi è solo agli inizi.
I pochi rispondenti, che potrebbero rappresentare di per sé un campione selezionato, indicano giudizi positivi rispetto all’opportunità di integrare i temi connessi alla CSR nelle attività del C.d.A.. In particolare, l’integrazione di temi sociali e ambientali nelle attività del C.d.A. favorisce negli amministratori la percezione di una maggior capacità del vertice aziendale di gestire i rischi connessi all’attività aziendale.
Gli amministratori indipendenti percepiscono positivamente il valore strategico della CSR nelle imprese che inseriscono riferimenti ai temi socio-ambientali nel piano industriale (4,00 su 5), piuttosto che nel solo codice Etico (2,37 su 5). Lo stesso accade quando è il C.d.A. a sovrintendere e indirizzare le attività socio-ambientali, indicando gli amministratori una maggiore attenzione alla reputazione aziendale in tema di CSR (4,50 su 5), rispetto a quando le attività sono gestite dal solo CSR Manager (2,00 su 5) oppure rispetto a quando non si ha una funzione dedicata (1,60 su 5).
Conclusioni
Cosa possiamo dunque concludere, anche alla luce dell’esempio virtuoso proposto in apertura?
Forse è possibile riassumere gli input presentati in alcuni punti sintetici:
- il tema della sostenibilità si sta facendo largo, perché è ormai percepito di fatto come ineludibile;
- tuttavia i C.d.A. delle imprese italiane non sono ancora attrezzate per assumere organicamente un ruolo di regia rispetto a queste tematiche;
- • per fare questo è necessario che nella selezione dei NED si ponga attenzione alle competenze in tema di politiche di sostenibilità. Forse in proposito è più realistico pensare che, più di competenze di CSR “spalmate” tra i vari membri, ce ne sia almeno uno portatore di consolidate competenze in materia;
- una volta identificato un delegato per la CSR, si auspica la creazione di un Comitato del C.d.A. per la sostenibilità, che veda la partecipazione di più NED, in stretta interazione con l’unità di CSR operante nella struttura organizzativa;
- per tutti i membri del C.d.A., e in particolari per quelli coinvolti nel Comitato, alcuni brevi ed efficaci iniziative di sensibilizzazione e formazione potrebbero favorire lo sviluppo di quell’atteggiamento e di quelle competenze di base necessarie per fungere da stimolo allo sviluppo di politiche di CSR che vadano nella direzione della creazione di valore condiviso.
1© CSR Manager Network, Via Appiani 12, 20121 Milano – Sito: www.csrmanagernetwork.it.
2Gruppo di lavoro ALTIS-CSR Manager Network: Stefania Bertolini, Marco Minciullo, Mario Molteni, Matteo Pedrini, Fulvio Rossi.
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